Assorbire la cultura altrui ( prestiti d’abbigliamento musulmano nella lingua italiana)

نوع المستند : المقالة الأصلية

المؤلف

Docente presso il dipartimento d’italiano Facoltà Al-Alsun, Università di Ain Shams

المستخلص

Il binomio lingua-cultura ha per sempre suscitato problematiche di tipo soprattutto lessicale. Il presente articolo mira ad indagare tale impatto nel lessico italiano in riferimento all’esistenza di lemmi riguardanti l’abbigliamento musulmano nei dizionari italiani.
Sono esaminati 8 lemmi (oltre alle eventuali varianti associate): abaya, burqa,  caffettano, chador, hijab, keffiyeh, khimar e niqab. Questi sono tracciati in 11 dizionari italiani pubblicati dal 1998 fino alle  versioni online di 2016 alcuni nella versione cartacea altri in quella elettronica o disponibili online.
I lemmi d’abbigliamento musulmano rappresentano senz’altro un tema pertinente all’innovazione lessicale di una lingua: si tratta di prestiti linguistici, di realia, entrati in italiano tramite la tecnica di conservazione per colmare la lacuna esistente nella cultura ricevente per designare questi concetti. Il prestito linguistico si considera il fenomeno più importante che riguarda i contatti tra le lingue essendo in rapporto con fattori di tipo sociolinguistico (il bilinguismo degli interlocutori, il coinvolgimento emotivo del parlante) e con altri extralinguistici (rapporti culturali, scambi economici, invasioni militari). Nel nostro caso, con il dibattito in tutta l’Europa su alcuni tipi di “velo”  musulmano da una parte e con l’aumento di immigrati musulmani in Italia dall’altra, si vede come il lessico italiano ha man man adoperato prestiti linguistici di abbigliamento musulmano specialmente negli ultimi trent’anni elencandoli nei vocabolari più “completi” e aggiornati della lingua italiana assorbendo in questo modo,anche parzialmente, la cultura altrui.

الكلمات الرئيسية


Introduzione

Lo scopo di questo articolo è indagare l’impatto della cultura musulmana ed araba nel lessico italiano in riferimento all’esistenza di parole riguardanti l’abbigliamento musulmano nella lingua italiana ed esaminare i motivi per cui tali vocaboli sono inseriti nei dizionari italiani.

Il presente articolo tratta i punti seguenti: come le parole entrano nei dizionari,

quali sono i regolamenti che condizionano l’esistenza di una certa voce in un dizionario e la sua mancanza in un altro, come si forma e si sviluppa il lessico di una lingua.

L’articolo è strutturato sui punti seguenti: lessico e dizionari, neologismi e prestiti, abbigliamento musulmano in Italia e nella lingua italiana.

I lemmi da esaminare sono i lemmi riguardanti l’abbigliamento tipico dei musulmani; sono 8 lemmi e per alcuni esistono delle varianti: abaya, burqa (var. burka), caffettano (var. cafetano, caftan, caftano), chador, hijab, kefiyyah (var. kefiah kefia keffia kaffiyeh kefiyeh kuffiyah kufiyah), khimar e infine niqab (var. nikab).

Queste voci sono tracciate in 11 dizionari italiani (alcuni nella versione cartacea altri in quella elettronica o disponibili online). I dizionari in esame sono pubblicati dal 1998 fino alle versioni online di 2016).

L’elenco dei dizionari consultati (dopo il titolo di ciascun dizionario segue l’abbreviazione con cui esso d’ora in poi viene ricordato nell’articolo) è: Vocabolario della lingua italiana Il Conciso (CNCS), Istituto della enciclopedia italiana, Roma, prima edizione, 1998; Dizionario Garzanti di italiano (DGI), Garzanti, UTET, 2000; Dizionario Garzanti etimologico (DGE), Garzanti, UTET, 2004, De Mauro Tullio, Dizionario della lingua italiana (DM), Editore Paravia, edizione 2006 disponibile online sul sito http://dizionario. internazionale.it; Zingarelli Nicola, Vocabolario della lingua italiana (ZING), Zanichelli, Bologna, 2011; Gabrielli Aldo, Grande dizionario italiano (GDI), Hoepli, http://www.grandidizionari.it/Dizionario_Italiano; Olivetti Enrico, Dizionario italiano (DIOLV), http://www.dizionario-italiano.it/ dizionario-italiano.php?parola, Vocabolario della lingua italiana Treccani (TREC), http://www. treccani.it/vocabolario/, Sabatini Coletti, Dizionario della lingua italiana (DLISC),http://dizionari .corriere.it/dizionario_italiano/; Dizionario del sito di Sapere.it (SPR) http://saperelb-538884594.eu-west-1.elb.amazonaws.com/sapere.html.; e Dizionario Garzanti online (DGWEB), http://www.garzantilinguistica.it . Lessico, neologia e culture

Il lessico, come lo definisce Jezek, “è l’insieme delle parole di una lingua”[1]; un insieme che resta molto fluido e che si sviluppa “per così dire quotidianamente onde rispondere meglio alle esigenze comunicative e espressive dei parlanti”[2]. Lo strumento che descrive il lessico è il dizionario, considerato “un repertorio incompleto” delle parole di una lingua per due fattori: il primo per la scelta (e questa è legata al tipo del dizionario: dizionario dell’uso, dizionario etimologico, ecc.) e il secondo per necessità poiché “il numero complessivo delle parole di una lingua è difficile da stabilire e le proprietà di ogni singola parola di una lingua non sono così facilmente individuabili”[3]. La recente produzione lessicografica è oggi capace di descrivere “non solo la lingua italiana nei suoi molteplici aspetti, ma la società attraverso quella lingua vive e si esprime”[4]

Lombardi Vallauri infatti afferma che “che le lingue cambino nel tempo è chiaro a tutti”[5] ma questo non è tanto sensibile per la lentezza con cui avviene. Aggiunge che “ogni innovazione che concorre a determinare le varietà diacroniche future, prima di generalizzarsi passa attraverso una fase di distribuzione parziale, limitata ad alcune varietà più innovative”[6]. Questa creatività lessicale è la sorgente dell’arricchimento del lessico di una lingua mediante “neoformazione di parole, ricavate dalle componenti che già esistono nella lingua, ossia mediante la ripresa e/o adattamento di parole straniere (cioè il prestito linguistico)”[7]. Secondo il Treccani, “Nel lessico italiano contemporaneo si contano oltre 6.000 prestiti”[8]

Parlare di prestiti è senz’altro correlato alla scienza di neologia. La neologia è “il processo di formazione di nuove unità lessicali”[9]. Quando si parla di neologia, è indispensabile chiarire la nozione di “lessicalizzazione”. Per lessicalizzazione s’intende “qualsiasi procedimento in base al quale, in una lingua specifica, un determinato concetto è associato a una forma lessicale”[10] ossia “il processo di integrazione di un neologismo nel lessico e nelle strutture di una lingua”[11]. Questo processo risulta nella creazione di una nuova parola e quindi l’entrata nel lessico di una parola che prima non esisteva. Ma finché questo processo non è compiuto il neologismo resta una parola in prova perché non entrata ancora nel lemmario dei vocabolari.

I neologismi si valutano in base alla loro “efficacia” la quale aumenta “le possibilità di acclimatarsi in una lingua e di imporsi rispetto ad altre forme”[12]. L’efficacia del neologismo si può misurare secondo i requisiti seguenti[13]: specificità e univocità, motivazione, economia linguistica, compatabilità con il sistema linguistico e produttività

Il primo requisito, la specificità e univocità è molto importante per evitare confusione e fraintendimenti. Quanto alla motivazione, essa è legata alle scelte delle caratteristiche da esplicitare nel termine (la classe di oggetti, l’uso, le parti, la forma, il colore, la dimensione, ecc.). Il terzo requisito riguarda il fatto che un neologismo deve essere facile da memorizzare per essere accettato ed entrare nell’uso e a questo fattore è tanto legato il quarto requisito in quanto un neolosigmo è accettabile solo se può integrarsi completamente e correttamente nel sistema morfologico e fonetico. L’ultimo principio, quello di produttività ha ancora rapporto con il precedente in quanto solo da neoformazione integrata nel sistema linguistico si possono derivare forme lessicali nuove

La stabilità di un nuovo prestito in una lingua non è sempre garantita: mentre alcuni prestiti integrali sono occasionalismi-cioè spariscono con velocità- altri si radicano nell’uso. Il fattore dominante è la loro frequenza da un lato e la loro esistenza nella lingua quotidiana dall’altro.

La lingua dispone di una varietà di metodologie per la formazione di termini: derivazione, neoformazioni composte, neosemia e rinnovamento esogeno. Il meccanismo che m’interessa in neologia è “il rinnovamento esogeno”[14]; ossia la formazione di nuove parole tramite i prestiti ed i calchi (nel nostro caso i realia di abbigliamento musulmano). Il prestito, ossia “l’importazione diretta di una parola nel lessico di una lingua”[15] è il nostro caso. Un modo con il quale si fa quella innovazione è l’uso di prestiti. Sono le parole straniere nuove di uso più o meno comune in una lingua. Il loro uso secondo Lombardi Vallauri “tende ad elevare il registro di una produzione linguistica”.[16]

I motivi per cui si creano neologismi è certamente la mancanza di parole equivalenti per designare cose o concetti sconosciuti alla nostra cultura. La situazione tipica in cui si esplica quell’attività neologica è la neologia traduttiva (che interviene a fronte di un vuoto terminologico durante il processo di traduzione) e la neologia orientata ( in cui si creano termini per denominare nuovi concetti).[17] I meccanismi di formazione di neologismi, i domini in cui ci concentra l’attività neologica e le lingue che danno impulso al rinnovamento esogeno variano a seconda delle epoche dalle quali dipendono anche i settori d’attività forieri di neoformazioni

I prestiti sono sorgenti di gran lunga più importanti per l’arricchimento lessicale della lingua. Il fenomeno è legato a fattori di tipo sociolinguistico. Per Zolli, il fenomeno del prestito “è ovviamente legato a fattori extralinguistici: rapporti culturali, scambi economici, invasioni militari”[18].

Zolli aggiunge che il fallimento o il successo di un termine straniero è attibuito a fattori linguistici: “succede che l’accoglienza di elementi estranei dipende da una struttura linguistica più affine a quella della lingua ricevente e da esigenze linguistiche della lingua ricevente”[19]. Secondo Wind, un prestito entra in una lingua e ne fa parte integrante nel momento in cui “il suo significato si fisserà e il termine diventerà di uso generale”[20] Sullo stesso punto parla Weinreich che asserte che il diverso grado di trasferimento di un termine in una lingua ricevente dipende da fattori “socio-culturali, da tratti individuali dei parlanti bilingui, da circostanze della situazione linguistica (come il bilinguismo degli interlocutori, il coinvolgimento emotivo del parlante)”[21] In questo caso un prestito non è sentito come esterno da parte dell’individuo che ne fa uso, anzi, “viene scelto proprio perché è l’unica forma perfettamente adeguata ad un preciso contesto. Tutto ciò si verifica grazie ad una situazione di bilinguismo che è indispensabile all’interferenza e al prestito”[22]

Nello stesso ambito Wind distingue tra elementi che acquistano la dignità di prestiti e quelli che non cambiano il loro statuto di parole straniere, in base al loro grado di assimilazione. Il termine assume la funzione di prestito vero e proprio nei casi in cui si verificano specifiche condizioni: la sua partecipazione ai cambiamenti morfologici, fonologici e semantici della lingua che lo accoglie, la produzione di significati secondari, la sua introduzione nei dialetti e infine un riscontro della sua attestazione in letteratura. Garajová parla dei prestiti integrati e non integrati: i primi sono adattati alla fonologia e alla morfologia dell’italiano mentre i secondi sono presi nella loro forma originaria[23].

Una tappa per cui una nuova parola entra in una lingua sono i cosiddetti “peregrinismi”. Sono le parole sentite come straniere usate nella lingua ricevente ma su scala minore. Un peregrenismo diventa un prestito propriamente detto nel momento in cui non viene più impiegato occasionalmente, ma entra nell’uso corrente della lingua. La differenza sostanziale tra peregrinismi e prestiti sta nel fatto che i primi mantengono la forma stranierea mentre i secondi si adattano alle regole grafiche della lingua d’arrivo e spesso sono modificati per una questione di comodità; entrano nell’uso dei parlenti quando si prestano alla derivazione o alla composizione come termini autoctoni[24].

Un’altra distinzione si fa tra il prestito di lusso e quello di necessità.  Il primo succede quando si riceve una novità, un oggetto o una nozione sconosciuti, che si accettanno insieme al nome straniero che li designa; il secondo si attua quando già esisteva una designazione nella lingua d’arrivo. Si tratta dunque di prestiti con uso momentaneo e variabile perché si sovrappongono a parole esistenti[25]. Secondo Gusmani, la distinzione tra l’uno e l’altro dipende dalla “motivazione e dalle condizioni che producono l’innovazione”[26]

Secondo Vaccaro, “il prestito linguistico è un fenomeno complesso che fondamentalmente nasce dal contatto tra lingue e culture differenti; l’importanza di tale incontro è chiaramente evidenziata dallo scambio e dall’arricchimento che i popoli ne traggono”.[27] Il prestito non riguarda necessariamente il lessico di una lingua intesa nella sua totalità, ma “dei particolari settori del lessico; infatti, nella maggior parte dei casi, l’uso di una parola straniera costituisce un neologismo o un tecnicismo, che è un modo per soddisfare l’esigenza di creare nuove parole per idee, oggetti, situazioni che prima non esistevano”[28] Questo procedimento è frequente nella lingua di specificità e da essa si diffonde nella lingua comune, spesso in risposta a nuovi elementi referenziali.

Martinet spiega che il processo di adottare nuovi oggetti o lemmi da lingue straniere viene per soddisfare i bisogni comunicativi, i quali se adeguano sempre all’evoluzione intellettuale, sociale ed economica di un gruppo di parlanti. I nuovi elementi appartenenti ad altre lingue contribuiscono a colmare le lacune e ad ampliare il lessico della lingua ricevente[29]. Il prestito secondo Garajová è il fenomeno più importante che riguarda i contatti tra le lingue essendo in rapporto con il bilinguismo[30].

In questa sede risulta necessario chiarire il rapporto lingua-cultura. Il binomio lingua-cultura ha per sempre suscitato problematiche di tipo soprattutto lessicale; quando si parla di questi due termini si pensa al legame indissolubile esistente fra cultura e lingua “inconcepibili come entità distinte e autonome”[31] e nello stesso tempo influenzate vicendevolmente. Parlare di una lingua significa parlare degli strumenti usati dal popolo per rappresentare se stesso, quindi dietro c’è la culutra che fa da supporto a tale strumento; e viceversa, non esiste una cultura senza considerare lo strumento linguistico che dà corpo e “vita” a tale cultura[32]. Secondo Bassnett, la lingua è il cuore nel corpo di cultura[33]. Wierzbicka afferma che lingua è considerata la miglio evidenza della realtà della cultura[34].

Il problema persistente rimane la traduzione di cultura. Difatti la traduzione di elementi culturali è difficile, in casi appare anche impossibile, specialmente quando si cerca di dare una traduzione precisa o definita che risulta da un lato “sinonimica” al lemma nella lingua di partenza e dall’altro comprensibile e dà lo stesso effetto pragmatico nella lingua di arrivo. Dagli anni ottanta in poi la scienza di traduzione è diventata sempre più orientata verso l’importanza degli elementi culturali. Secondo Nida[35] le differenze culturali possono creare complicazioni più di quelle relative alle strutture linguistiche.

Vlahov e Florin[36] erano i primi linguisti a studiare a profondo questo problema e hanno denominato questi termini relativi alla cultura “ i realia”. Per realia loro danno la definizione seguente:

“parole (e locuzioni composte) della lingua popolare che rappresentano denominazioni di oggetti, concetti, fenomeni tipici di un ambiente geografico, di una cultura, della vita materiale o di peculiarità storicosociali di un popolo, di una nazione, di un paese, di una tribù, e che quindi sono portatrici di un colorito nazionale, locale o storico; queste parole non hanno corrispondenze precise in altre lingue”

I realia dunque sono un fenomeno concreto unico o concetto categorico specifico di un dato paese o ambito culturale in cui equivalenti sono altrove solo parziali o inesistenti. Questi elementi rappresentano una delle maggiori sfide con le quali si trovano a fare i conti i traduttori per le inequivalenze che derivano dalle rappresentazioni linguistiche di settori dell'esperienza non condivisi dalla cultura di partenza e da quella di arrivo. Quindi sono casi in cui abbiamo, come dice Wotjak, “equivalenza zero dovuti alla particolare maniera in cui ciascuna cultura concettualizza e definisce il mondo”[37] per cui molti studiosi si sono adoperati per fornire suggerimenti pratici per la traduzione di ciò che viene considerato “intraducibile”.

I suggerimenti o le strategie di traduzione dei realia possono essere di tre tipi principali:

  1. Mantenere inalterata la parola, fornendola eventualmente di una nota
  2. Operare un calco
  3. Individuare un referente più o meno affine nella lingua di arrivo[38].

I lemmi in esame sono tutti entrati in italiano tramite il primo meccanismo: conservazione perché è noto che riflettono una realtà intellettuale, culturale e religiosa tanto diversa da quella italiana.

Abbigliamento musulmano nella letteratura, nella società e nella legge

Nel suo studio del prestito Wind[39] afferma che quando si studia un prestito si mira a conoscere i motivi per cui questo termine entra in una lingua. In questa parte dell’articolo cerco di chiarire i motivi ed i fattori che hanno alimentato l’entrata dei lemmi di abbigliamento musulmano nella lingua italiana.

I lemmi che secondo me richiedono un’attenzione maggiore sono quelli relativi al copricapo islamico indossato dalle donne musulmane e, accostandosi a questo “fenomeno”, si vede in modo palese che la questione del velo musulmano sta suscitando accese dispute in tutta l’Europa. Garofalo asserte che “il tema del velo islamico attraversa da decenni il dibattito delle società Occidentali come di quelle Mediorientali.” [40] Questo pezzo di stoffa, aggiunge Garofalo, “interseca questioni sociali, politiche e teoretiche fra le più questionate: la libertà di culto, la condizione della donna, la possibilità negata di autoindentificarsi”[41].

Di questo “diritto” si sa che, a livello legislativo, i veli integrali -il “burqa” e il “niqab”- sono divietati in Francia[42], e questo ha prodotto un vivo interesse e un sorprendente consenso anche in Italia. Ma secondo Venturi, “un divieto generale e incondizionato di indossare il velo sacrifica in modo assoluto la libertà di religione e non pare costituire una soluzione ragionevole rispetto al fine che si propone di realizzare”[43].

In Italia non esiste una legge “anti-velo” come in Francia. Vige però la legge 152 del 1975[44] nata per combattere il terrorismo. L’articolo 5 della legge n. 152/1975 consente nell’ordinamento italiano che una donna indossi il velo per motivi religiosi o culturali.[45]

La letteratura, come veicolo espressivo di un popolo, non può che seguire ad intrecciarsi ai cambiamenti in atto, sia essa in accordo o in disaccordo con le tendenze dominanti. In seguito alla dominanza persistente del tema dell’abbigliamento musulmano e con la nascita di seconde generazioni di musulmane in Italia che hanno deciso di portare il velo, la letteratura anch’essa ha fornito delle opere scritte[46] su questo tema sia da donne d’origine araba sia da italiane che trattano i probemi che le musulmane affrontano con una società e cultura talmente diverse dai loro sfondi culturali e religiosi e qual’è la reazione degli altri dinanzi alla loro scelta. Ma non solo libri e articoli, ci troviamo davanti ad altre forme letterarie[47]: film, link di pagine internet, ecc. Tale abbondanza di produzione in diverse forme è un indicatore dell’effetto che ha avuto, e ancora suscita, il velo, nella società italiana.

Parlando di società, ricorriamo al fact sheet della fondazione ISMU (iniziative e studi alla multietnicità) del Giugno 2016 il quale mostra che “si possono stimare 1,7 milioni di cittadini stranieri musulmani a qualsiasi titolo giuridico-amministrativo presenti in Italia (regolari nel soggiorno o non regolari) al 1° gennaio 2015, comprensivi di neonati e minorenni a cui si associa comunque una “religiosità presunta”.”[48] Secondo un rapporto di Menonna, in cui studia le tendenze recenti dell’ immigrazione straniera in Italia, si deve ancora considerare il fenomeno degli “sbarcati” cioé gli ingressi non autorizzati via mare i quali superano 159 mila nel 2015. Le principali cittadinanze dei migranti sbarcati sono da paesi musulmani (Nigeria, Somalia, Sudan e Siria)[49]. Certamente non tutti rimangono nel territorio italiano[50] ma le cifre dei provenienti da paesi musulmani resta un indice dell’influsso- anche secondario e meno sentito- nel tessuto del popolo italiano. Se si guarda la mappa delle principali cittadinanze straniere ora residenti in Italia secondo i dati dell’ISTAT e della ISMU, si osserva che delle prime 20 cittadinanze abbiamo 6 che risalgono a paesi musulmani (in base al loro ordine nell’elenco sono: Marocco, Egitto, Pakistan, Senegal, Tunisia e Nigeria) con un totale di quasi un milione di residenti[51]. Non si può negare che man mano il patrimonio d’integrazione sociale e territoriale costruito nel tempo, tra i musulmani e gli italiani deve avere delle sue repercussioni sul campo del lessico italiano introducendo nuove parole in italiano con l’andamento del tempo.

Secondo l'istituto ISMU al 1º gennaio 2016 in Italia sarebbero residenti circa 1.400.000 musulmani, ovvero una cifra corrispondente al 2,34% della popolazione italiana[52] e secondo Marco Dotti, le donne che portano il velo musulmano in Italia sono più di 100 mila[53].

Nella parte seguente, si esamina la diffusione dei realia di abbigliamento musulmano nei dizionari italiani.

Abbigliamento musulmano nei dizionari monolingue italiani

La presenza di lemmi tipici dell’abbigliamento dei musulmani in italiano è tanto antica. Dal quattrocento si trova il “caffettano” ad esempio, entrato in italiano dal 1483[54]. Invece parole come (burnus, keffiyah) sono entrate nella lingua italiana nell’Ottocento. Il motivo principale per cui questi lemmi sono entrati in italiano era lo scambio commerciale con i musulmani.

D’altro canto, ci troviamo davanti ad altre parole come (burqa, chador, hijab, khimar, niqab) elencate nei dizionari italiani sin dal Novecento[55] e infine la parola “abaya” è un neologismo apparso solo nel XXI secolo. I paragrafi seguenti chiariscono in dettaglio la presenza o mancanza di questi realia d’abbigliamento musulmano nei dizionari.

Il primo gruppo lo rappresentanao i lemmi entrati in italiano fino all’Ottocento. Questi si trovano in tutti i dizionari in esame: “caffettano”, “burnus” e “kefiyyah” sono inseriti nei dizionari sempre attribuendoli alla loro etimologia araba. Si nota però che non tutte le varianti dei lemmi “caffettano” e “kefiyyah” ci si trovano. Per “caffettano” e varianti si vede la tabella seguente:

 

lemma/dizionario

ZING

DGI

CNCS

DGE

GDI

DIOLV

TREC

DLISC

DGWEB

SPR

DM

cafetano

 

caffettano

caftan

 

 

 

 

caftano

 

 

 

 

 

 

Si nota che il DGI ricorda solo la parola principale “caffettano” e non le varianti grafiche mentre in quasi tutti gli altri dizionari le varianti ci si trovano.

Nella tabella seguente si osserva l’esistenza o meno delle varianti del lemma “kefiyyah”:

 

lemma/ dizionario

ZING

DGI

CNCS

DGE

GDI

DIOLV

TREC

DLISC

DGWEB

SPR

DM

kaffiyeh

 

 

 

 

 

 

 

keffia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

keffiyeh

 

 

 

 

 

 

kefia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

kefiah

 

 

 

 

 

 

kefiyeh

 

 

 

 

 

 

 

kefiyyah

 

 

 

 

 

kuffiyah

 

 

 

 

 

 

kufiyah

 

 

 

 

 

 

 

Riguardante il lemma “kefiyyah” e varianti, la più frequente, “kefiyyah”, si trova in 6 dizionari, seguono poi le varianti “keffiyeh”, “kefiah”, “kuffiyah” e “kufiyah” ciascuna in 5 vocabolari e mentre “kaffiyeh” e “kefiyeh” si trovano in 4 dizionari; “keffia” ha due ricorrenze e infine “kefia” appare una sola volta nel DGWEB.

Si ricorda ancora che i dizionari scrivono le varianti della parola senza menzionare la data delle loro entrate in italiano; fanno solo riferimento che questa è una parola di origine araba e fanno referenza al lemma principale oppure scrivono tutte le varianti nella stessa entrata.

Riassumendo i casi del primo gruppo possiamo dedurre che i tre lemmi d’abbigliamento musulmano entrati dal quattrocento fino all’ottocento sono già stabiliti come prestiti veri e propri nella lingua italiana anche se non tutte le varianti grafiche sono menzionate in tutti i vocabolari.

Quanto al secondo gruppo di lemmi dell’abbigliamento islamico- quello relativo a prestiti entrati in italiano nel Novecento- questi non sono ricordati in tutti i dizionari. Vediamo la diffusione delle quattro parole “burqa” (e la variante burka), “hijab”, “khimar” e “niqab” (e la sua variante nikab) nei dizionari consultati:        

 

lemma/

dizionario

ZING

DGI

CNCS

DGE

.GDI

DIOLV

TREC

DLISC

DGWEB

SPR

DM

burqa

 

 

 

 

 

burka

 

 

 

chador

 

 

 

hijab

 

 

 

 

 

khimar

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

niqab

 

 

 

 

 

 

nikab

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa tabella richiede un po’ di attenzione; cominciamo con “burqa”. Si nota che il lemma - che risale al 1975[lvi]- si trova in 6 dizionari mentre “burka” si trova in 8 dizionari. È interessante notare che la variante scritta con una lettera straniera “k” è più frequente di quella adattata al sistema fonologico italiano.

 “Hijab” è un caso particolare. Secondo DM[lvii] e il sito di SPR[lviii] è entrato nel 1991 mentre lo ZING[lix] dice che appartiene al 1992 e lo afferma ancora il TRC il quale descrive il lemma “un neologismo del 2016 già attestato nel quotidiano la Repubblica dal 1992[lx]. La particolarità di “hijab” non è solo legata al fatto che si trova solo in 6 dizionari, ma ad altri due fattori: il primo è che non si è d’accordo sulla data della sua entrata in italiano e il secondo è che malgrado che “hijab” – nella tradizione musulmana- è la parola che descrive in senso generale il velo ossia il copricapo musulmano (che poi assume altre facce o tipi come vediamo avanti), è entrata molto recentemente rispetto ad altri lemmi più specifici.

Di questi lemmi abbiamo tre: “chador”, “khimar” e “niqab” (e la variante “nikab”). Il primo, “chador”- una parola persiana che vuole descrivere un tipo di velo- ha 8 ricorrenze nei dizionari italiani ed è stabilita nella lingua italiana dal 1979[lxi]. Il “niqab” l’ho incontrato in 5 dizionari e la sua entrata avvenne nel 1987[lxii]; mentre “khimar” è apparsa solo nello ZING[lxiii]; la sua mancanza anche nelle versioni elettroniche dei dizionari (che sono sempre aggiornate con neologismi) è un indice che questo lemma non è un prestito integrato nel lessico italiano; anzi lo potrei considerare un occasionalismo; cioè un lemma usato ad hoc in certe situazioni ma non tanto frequente da inserirsi nei vocabolari.

A mio parare, inserire tali prestiti in molteplici dizionari- a prescindere dalla loro recente entrata in italiano e dalla loro ricorrenza nella metà dei dizionari- è un impatto diretto dell’ascesa dei musulmani in Italia,  e in questo caso si parla precisamente sulle donne “velate”, le quali, con il loro velo tanto distinto e con la loro interazione con il popolo italiano, hanno imposto- anche involontariamente- la loro cultura islamica nel lessico italiano. Prima si traduceva il corpicapo musulmano in “velo”, ma con il tempo e l’aumento degli influssi dei musulmani, sono entrate altre parole che descrivono i tipi di questo velo; infatti “chador”, “khimar” “burqa” e “niqab” non sono altro che tipi che denotano la qualità del corpicapo musulmano ma lo connotano diversamente. Sono varianti del velo musulmano “hijab”  (che vuole dire velo) ma a ciascuna sono affidate delle caratteristiche sia riguardanti la lunghezza del velo sia riguardanti la parte del corpo che lo copre (ad esempio il “niqab” e il “burqa” coprono non solo i capelli ma anche il volto). Questa sovrapposizione di lemmi che connotano il velo in italiano in maniera diversa afferma l’ipotesi di Orlios che “introdotta in un nuovo sistema che riflette una maniera diversa di organizzare e  segmentare l’esperienza del reale, l’unità lessicale perderà alcuni dei suoi tratti semantici e ne acquisterà altri, appartenenti alla visione culturale della nuova comunità linguistica”[lxiv].

Un’altra nota riguarda il genere del lemma “burqa”: tutti i dizionari ricordano che “burqa” è un nome singolare invariabile tranne TREC che dice che esso è un singolare maschile e raramente femminile. Si sa che quando si adopera un prestito in italiano si suole ad esso il genere della parola del suo equivalente in italiano, nel nostro caso “velo”. Quindi tutti i lemmi equivalenti a “velo” sono entrati in italiano come lemmi maschili. L’unica eccezione è quella del vocabolario TREC.

L’ultimo gruppo è costituito da una sola parola apparsa nel XXI secolo in un solo vocabolario: si tratta della parola “abaya” la quale è definita nel TREC come: “Neologismi 2008 abaya s. f. inv. Sopravveste tradizionale islamica, di lana pesante perlopiù di colore nero o scuro, lunga fino ai piedi. [...] Già attestato nella Repubblica del 23 agosto 1990, p. 6 (Vladimiro Odinzov), usato come s. m.” Quindi si nota che sono occorsi 18 anni (dal 1990 al 2008) perché la parola faccia passare da un occasionalismo a un prestito. Questo mostra come mai le parole entrano nel lessico di una lingua dopo anni d’interazione sociale.

A questo punto, compuita l’analisi, emerge una domanda: come le parole entrano nei dizionari? Ho esaminato due motivi per cui è volto l’interesse ai termini che riguardano l’abbigliamento musulmano e in particolare il velo: immigrazione, fatti legislativi. Grazie a questi due motivi, questi lemmi vengono ripetuti nei mezzi di comunicazione. La frequenza dei nuovi lemmi nel linguaggio dei mass media resta un fattore vitale- essendo considerato un mezzo non solo per far progredire un concetto o una parola ma il suo impatto giunge fino ad “inventare” nuove parole.  Una volta un neologismo si segnala frequentemente, viene il ruolo degli accademici della Crusca i quali, come dice Cristina Torchia, devono verificare “la frequenza, l'ambito e l'eventuale presenza nei dizionari storici[lxv]. Ma non tutte le parole segnalate dalla Crusca finiscono nei dizionari: «Ci limitiamo a descrivere i lemmi, non diamo prescrizioni»[lxvi], continua Torchia. Ma spesso i dizionari attingono dall'elenco per fare proprie le nuove parole.

Sorgono ancora domande persistenti riguardanti i punti seguenti: l’esistenza di un rapporto tra la mole del dizionario e l’inserzione di un certo lemma; ci sono delle preferenze dalla redazione di inserire o tralasciare un lemma.

Infatti i dizionari analizzati sono di media o grande mole e sono tutti redatti da lessicografi molto famosi o da enti linguistiche molto importanti (come il caso della Treccani). Inserire una parola o meno nel dizionario è un fatto legato  ai criteri di scelta di ciascun vocabolario, al corpus da cui sono tratti i lemmi, alla mole del dizionario e in alcuni casi c’è ancora una certa soggettività relativa alle preferenze dell’equipe di redazione; ma sono senz’altro e principalmente fattori relativi alla frequenza di questa parola nel corpus, all’importanza o anzi all’aggiunta semantica che fa questa parola al lessico. Nel nostro caso parole che riguardano l’abbigliamento musulmano sono di realia molto attinti alla cultura islamica e quindi non avevano degli equivalenti in italiano che possano descrivere il senso e con l’aumento numero alle minoranze musulamane in Italia e alla loro coivolgimento nella vita quotidiana italiana (specialmente quella sociale e politica), i dizionari si trovano a volte “costretti” a far inserire tali voci nelle loro entrate.

E come ho già detto, il problema di tradurre i realia deriva dal fatto che “la comunità culturale ricevente non ha idea della denotazione, o significato obiettivo, dei concetti esistenti nell’altro ambito culturale, né tantomeno della loro connotazione, ossia delle associazioni evocate da tali concetti”[lxvii]. Ecco perché si tende nella maggioranza dei casi, a seguire la strategia della “conservazione” nella quale si ricorre o a mantenere inalterata la parola (come abaya, hijab, khimar) o adattarla – quando necessario- alle regole fonetiche italiane (come caftano ad esempio).

È da sottolineare che, osservando la ricorrenza di tutti i lemmi esaminati in relazione ai dizionari consultati, ci troviamo davanti a due note interessanti: la prima è la mancanza totale del lemma “kefiyyah” o varianti nel DIOLV e nel SPR malgrado che i due dizionari offrono neologismi più recenti in italiano ( come  burqa, chador ad esempio).

La seconda nota è che lo ZING è il dizionario che racchiude i termini cercati per eccellenza con 15 ricorrenze e poi lo seguono il DIOLV e il GRWEB con 13 lemmi e/o varianti e alla terza posizione troviamo il TREC e il DM con 12 ricorrenze ciascuno. Dal mio punto di vista questo è legato alla ricchezza e alla contemporaneità di tali lemmari, oltre alla scadenza ormai annuale di pubblicazione (specialmente nel caso dello ZING) il che ha consentito all’editore di integrare nel proprio dizionario tutte le innovazioni più significative, o semplicemente di maggior richiamo, proposte dagli altri dizionari.

Conclusione

Lo studio da me condotto ha mostrato come mai le lingue si sviluppano, come il lessico si arricchisce mediante il meccanismo del prestito linguistico il quale permette alla lingua di “assorbire” nuovi concetti, di scoprire nuovi orizzonti che appartengono a culture diverse dalla cultura ricevente.

Certamente i lemmi d’abbigliamento musulmano rappresentano un tema pertinente a questo campo perché sono legati ad una cultura e religione diversa richiedente un modo speciale di vestirsi.

Nell’articolo sono ben precisi i motivi per cui una lingua adotta nuove parole integrandole nel suo repertorio lessicale: sono motivi soprattutto culturali, politici e sociali che aiutano a far passare una parola da una lingua all’altra e nel nostro caso non si negano due fattori importanti: il fattore dell’immigrazione e quello del dibattito politico su alcuni tipi di abbigliamento femminile in Europa.

Lo studio ha chiarito l’esitenza dei vocaboli d’abbigliamento di origine araba nella lingua italiana in una dozzina di dizionari italiani risultando così in un panorama dello sviluppo del lessico in questo settore dal 1998 fino al 2016. Data la diffusione di questi lemmi nei dizionari consultati possiamo ben accertare che l’italiano ha ben accettato i lemmi d’abbigliamento musulmano in quanto prestiti veri e propri elencandoli nei vocabolari più “completi” e aggiornati della lingua italiana, e si sa che una volta una parola entra in un dizionario, non ne esce quasi mai, anzi viene radicata nel lessico.



([1]) Jezek, Elizabetta, Lessico, Mulino, Bologna, seconda edizione, 2011, p.15.

([2]) Muljacic, Zarko, Scaffale italiano, La nuova Italia, Firenze, 1991, p.155

([3]) Jezek, Elizabetta, op. cit., p.15

([4]) Della Valle, Valeria, La lessicogrfia italiana oggi, in Bollettino di italianistica, a cura di Alberto Asor Rosa, anno IV, n.2.  Carocci, Roma, 2007, p.29

([5]) Lombardi Vallauri, La linguistica in pratica, Mulino, Bologna, 2007, p.89.

([6]) Ibidem

([7]) Garajová Kateřina, Manualetto di stilisticaitaliana, Masarykova univerzita, Brno, 2014, p.7

([8])http://www.treccani.it/enciclopedia/prestiti_(La-grammatica-italiana)/

([9]) Zingarelli, Nicola, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 2011, p. 1479

([10]) Garajová Kateřina, op.cit., p.18

([11]) AA.VV, Vademacum di neologia terminologica, Editore cancelleria federale, Berna, 2014, p.15

([12]) Ivi., p.18

([13]) Cfr. Vademacum di neologia terminologica, op. cit., pp.18-21

([14]) Ivi., p.5

([15]) Ivi., p.33

([16]) Lombardi Vallauri, op.cit., p.89

([17]) Cfr. AA.VV, Vademacum di neologia terminologica, op.cit., p.13

([18]) Zolli, Paolo, Le parole straniere, Zanichelli, Bologna, 1976, p.1

([19]) Ivi., pp.2-3

([20]) Wind, B.H., Mots italiens introduits au XVIe siècle, Kluwer, Deventer, 1928, p.22.

([21]) Weinreich, U., Le langage el les groupes humains, Gallimard, Paris, 1968,  in Vaccaro, op, cit., p. 132.

([22]) Vaccaro, op. cit., p. 132

([23]) Cfr. Garajová, op. cit., p.9

([24]) Vaccaro, op. cit., p.128

([25]) Si vedono: lo studio eseguito da Vaccaro, op.cit., p.127, lo studio di Garajová, op. cit. Pp.9-10

([26]) Gusmani, R., Considerazioni sul prestito di morfemi, in Lingua e stile, XI,Bologna, 3, 1976, p. 405.

([27])Vaccaro, Valeria Anna, Il prestito linguistico tra teoria e retorica: criteri metodologici ed effetti stilistici, in L’analisi linguistica e letteraria (1/2007), Facoltà di lingue e letterature straniere, Università catolica del Sacro Cuore, Litografia Solari-Peschiera, Borromeo, Milano, 2008,  p. 117

([28]) Ivi., p.137.

([29] Cfr.Martinet, A., élements de linguistique générale, Coli, Paris, 1960, trad. Ita. Da Lepschy, G.c., Elementi di linguistica generale, Laterza, Bari, 1972.

([30]) Cfr. Garajová, op. cit., p.9

([31]) Serragiotto, Il binomio lingua-cultura, www.grazianoserragiotto.it/wp-content/uploads/2011/.../Il-binomio-lingua-cultura.pdf ,  p.1.

([32]) Cfr. Grigas, R., Destiny of the Nation, Vilnius, Rosma, 1995, p.23.

([33]) Cfr. Bassnett,, Susan, Translation Studies. London: Routledge, 1980, p.13

([34]) Wierzbicka, A., Semantics, culture and cognistion. Universal Human Concepts in Culture-Specific configurations, Oxford University Press, New York, 1992, p.8.

([35]) Cfr. Nida, Eugene, Toward a science of translating with special reference to principles and procedures involved in Bible translating, Leiden, E.J.Brill, 1964, p.130.

([36]) Cfr. Vlahov, S., e Florin, S., “Neperevodimoje v perevode. Realii”, in Masterstvo perevoda,  Moskvà, Sovetskij pisatel’, n.6, 1969, p.432.

([37]) Wotjak, Gerd, 1997, “Problem solving strategies in translation” in Revista Ilha do Desterro. A Journal of English Language, Literatures in English and Cultural Studies, Florianopolis, Universidade Federal de Santa Catarina, n. 33, p.5

([38]) Rega, Lorenza, La traduzione letteraria: aspetti e problemi. Torino: Utet, 2001, pp.168-169.

([39]) Cfr. Wind, B.H., Mots italiens introduits au XVIe siècle, Kluwer, Deventer, 1928.

([40]) Garofalo, Deborah, I volti del velo, http://www.cese-m.eu/cesem/2017/01/i-volti-del-velo/, 11 gennaio 2017.

([41]) Ibidem.

([42]) Si riferisce a Maria Letteria Quattrocchi, Il divieto di indossare il burqa ed il niqab in Italia e in Europa, di (27 febbraio 2011) www.forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/pdf/.../0249_quattrocchi.pdf  p.1 “Come è noto, in Francia, nel 2004 a garanzia della separazione tra Stato e Chiesa la legge n. 22814, sostenuta dal Presidente Chirac, ha vietato l’ostensione dei simboli religiosi negli istituti scolastici. Anche il successivo Presidente Sarkozy, eletto nel 2007, ha affrontato la tematica dell’abbigliamento religioso con particolare riguardo al burqa e al niqab dichiarando nel 2009 al Congresso di Versailles che il burqa non è il benvenuto sul territorio francese perché offensivo per la dignità delle donne”; e a Garofalo la quale spiega ancora che “Nel 2010 il parlamento ha proibito il velo islamico che copre il viso su tutti i luoghi pubblici del territorio nazionale francese e belga. Nel 2014 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha dichiarato che ciò non danneggia la libertà di religione. La motivazione adottata dai ministri francesi è che l’abolizione del niqab è un passo necessario verso l’uguaglianza: un provvedimento voluto dal governo Sarkozy, ma approvato in Parlamento con una maggioranza palese, 335 sì contro un unico no. Durante la presentazione della nuova Legge, venne affermato che il burqa non è un simbolo religioso, ma un simbolo di oppressione e pertanto non accolto in Francia.” Garofalo, Deborah, I volti del velo, op.cit.

([43])Ventura, M., Diritto e religione in Europa: il laboratorio comunitario, in Pol. dir., 4/1999, 577 ss.

([44]) Art. 5 “E' vietato prendere parte a pubbliche manifestazioni, svolgentisi in luogo pubblico o aperto al pubblico, facendo uso di caschi protettivi o con il volto in tutto o in parte coperto mediante l'impiego di qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona".

([46]) Solo per citarne alcune, ci riferiamo alle opere seguenti: Lettera a mia figlia che vuole portare il velo, Leila djitli con Sophie Troubac, ed. Piemme, 2005, Burka! 24 tavole a fumetti di Simona Bassano di Tufillo, accompagnate da, La mia vita a Kabul di Jamila Mujahed, ed. Donzelli, 2007, Oggi forse non ammazzo nessuno. storie minime di una giovane musulmana stranamente non terrorista, Randa Ghazy, Fabbri, 2007, Porto il velo adoro i queen. nuove italiane crescono, Sumaya Abdel Qader., Sonzogno, 2008, Veli d'occidente. temi, metafore, simboli, Rosella Prezzo, Milano, B. Mondadori, 2008, Sono musulmana, Randa Abdel-fattah, ed. Mondadori Junior, 10 cose che odio di me, Randa Abdel-fattah - traduzione di Alessandra Orcese ed. Mondadori, 2009,  “Donna svelata... meglio integrata!”, articolo di s. r. f. in La straniera: informazioni, sito-bibliografie e ragionamento su razzismo e sessismo, Quaderni Viola nuova serie-n.2 , Roma: ed., Alegre, 2009, pp. 92-97, I love islam. cinque ragazze occidentali, single e modaiole, alla scoperta dell'islam che conquista, Patrizia Finucci Gallo, Newton Compton, 2010, Samira, testi e disegni di innai, in Voli interrotti, storie abbozzate di migranti,, Expris comics, 2012, Mondi velati e mondi svelati. un incontro possibile?, a cura di Letizia Lambertini, incontri di mondi, comune Casalecchio di Reno, 2012, Il velo nell’islam : storia, politica, estetica, Renata Pepicelli, Roma: Carocci, 2012.

([47]) Ecco alcuni esempi: di film abbiamo Persepolis, di Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud. Francia, USA, 2007, Candid Islam - voci di donne a Torino (DVD + CD-Rom), di Tomaso Brucato e Daniela Marchetto. Italia, 2008, e dei link citiamo i seguenti: “La voce delle donne nella letteratura arabo-musulmana contemporanea”, www.expatclic.com/index.php?option=com_content&view=article&id=2387:la-vocedelledonne-nella-letteratura-arabo-musulmana-contemporanea&catid=955:i-libri-che-ci-piacciono, S-velate: rassegna stampa della Libreria delle Donne di Milano www.milanwomenbookshop.com/news/s-velate.htm

([48]) Menonna, Alessio, La presenza musulmana in Italia, Fact sheet ISMU, Fondazione ISMU, Giugno 2016, pp.1-2

([49]) Cfr. Menonna, Alessio, L’immigrazione straniera in Italia:tendenze recenti e prospettive, Fondazione ISMU – Settore Monitoraggio, Luglio 2016, pp.2.3

([50]) Secondo Menonna, “I siriani residenti in Italia al 1° gennaio 2016 sono meno di 5mila, contro il mezzo milione di sbarcati siriani in Grecia nel 2015, e piuttosto i rumeni sono in Italia senz’altro oltre un milione. Gli iracheni, sbarcati in 90mila in Grecia nel 2015, non sono neanche tra le principali 70 cittadinanze residenti sul territorio nazionale”, ivi, p.8.

([51]) Cfr. Menonna, ivi., p.7.

([52]) Menonna, Alessio, La presenza musulmana in Italia, op.cit., p.2

([53]) Dotti, Marco, Donne che portano il velo, http://www.vita.it/it/article/2016/05/10/donne-che-portano-il-velo/139345/ , 10 maggio 2016

([54]) Data presa dalla versione online dell’edizione del 2006 del dizionario di De Mauro–Dizionario della lingua italiana”  http://dizionario.internazionale.it

([55]) Ibidem

([lvi]) Si consultano: Zingarelli, Nicola, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 2011, p.337; Edizione online del dizionario De Mauro , Dizionario della lingua italiana”  Editore Paravia , http://dizionario.internazionale.it

([lvii]) Edizione online del dizionario De Mauro , Dizionario della lingua italiana”  Editore Paravia , http://dizionario.internazionale.it

([lviii]) Si torna a Dizionario del sito di Sapere.it (SPR) http://saperelb-538884594.eu-west-1.elb.amazonaws.com/sapere.html.

([lix]) Zingarelli, Nicola, op.cit., p.1047.

([lxi]) Si vedono i seguenti dizionari: Zingarelli, Nicola, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 2011, p.435; Vocabolario della lingua italiana Treccani (TREC), http://www. treccani.it/vocabolario/; Dizionario del sito di Sapere.it (SPR) http: //saperelb-538884594.eu-west-1.elb.amazonaws.com/sapere.html.

([lxii]) Zingarelli, Nicola, op.cit., p.1490

([lxiii]) Ivi., p. 1220.

([lxiv]) Orlios Vincenzo, Le spie sociolinguistiche nei prestiti tra mondo antico e età contemporanea, http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/allegati/728-Contatto-Interlinguistico-Orioles.pdf, p.219

([lxv]) Torchia, Cristina, in http://www.focus.it/cultura

([lxvi]) Ibidem